Vai ai contenuti

Satricum Scavi

 Quando nel 1977 l’Istituto Olandese a Roma inizia la ricerca archeologica a Le Ferriere – in quel tempo già identificata con l’antica Satricum – apparve immediatamente che la ricerca del sito avrebbe impegnato tempi lunghi. Ne era prova non sola la grande massa di reperti riscoperta nei magazzini del Museo Nazionale di Villa Giulia, ma anche la ricchezza e la complessità dei resti riscavati sull’acropoli nei primi anni. Ora 30 anni dopo l’inizio della ricerca olandese a Satricum questa osservazione vale ancora.
 Infatti solo il 40 % dell’area attribuita all’insediamento antico è stata sottoposta ad una ricerca archeologica sistematica; il restante è ancora in corso di ricerca. L’archivio archeologico di Satricum sembra inesauribile visto l’afflusso costante di nuovi reperti, spesso di carattere spettacolare. Grazie alla continuità della ricerca archeologica e alla conservazione notevole dei resti scavati e nonostante le attività economiche devastanti degli anni sessanta del secolo scorso, è stato possibile ricostruire un quadro abbastanza completo dell’insediamento ormai leggibile su vari livelli.


Grazie alla stessa continuità e ad uno studio approfondito del materiale scavato si possono definire diversi collegamenti intercontestuali che vanno oltre il lavoro primario di documentazione e sono, spesso, di carattere interdisciplinare. Ciò vale, per esempio, per lo studio dei dati archeologici a confronto con le fonti letterarie che, nel caso di Satricum, dimostrano spesso una notevole corrispondenza di informazioni.
La storia degli scavi a Satricum però non comincia nel 1977, ma quasi 80 anni prima, nel 1896 quando fu affondato per la prima volta il piccone sull’altura di Le Ferriere. I lavori intensi eseguiti in tempi straordinariamente brevi, fra il 1896 e il 1898, portarono in luce i resti di un grande tempio con ricca decorazione di terrecotte figurate e moltissime offerte votive.
In esso si riconobbe quel santuario di Mater Matuta che la tradizione collegava al nome di Satricum. Si coprirono inoltre tracce di precedenti fasi edilizie del tempio, e, intorno a questo, muri di abitazioni, incavi di capanne protostoriche; si riconobbe il tracciato di un recinto tipo aggere; più lontano, si esplorò una necropoli con sontuosi corredi tombali arcaici.
In sostanza si delineò subito l’immagine straordinariamente evidente e completa – quale raramente si era presentata altrove – di una città italica vissuta dall’età del Ferro alle soglie della tarda repubblica romana. Dopo la scoperta del sito da parte dell’archeologo francese dell’Università di Bordeaux, Henri Graillot, i protagonisti di questa impresa di scavo diventarono i rappresentanti più esperti dell’archeologia ufficiale italiana come Felice Bernabei, Adolfo Cozza e Raniero Mengarelli.
Le loro scoperte non vennero mai sistematicamente e scientificamente pubblicate. La stessa sorte toccò ad altri scavi eseguiti in seguito, quelli del 1907–1910 di Raniero Mengarelli che scavò un piccolo santuario nella parte sud-est della città e altre tombe nella Necropoli Nord-Ovest. Altri saggi di breve durata furono eseguiti nel 1934 da Iacopi e negli anni cinquanta da Maria Santangelo. Il materiale, consistente in migliaia di reperti, fu raccolto, e solo in parte esposto, a Roma nel Museo Nazionale di Villa Giulia dove si trova tuttora.

Con esclusione dei frammenti statuari e delle antefisse
del rivestimento templare , i rinvenimenti di Satricum, nel loro complesso, rimasero praticamente sconosciuti fino al 1976, quando uscì una prima seria di pubblicazioni su alcuni gruppi di oggetti più antichi di provenienza funeraria e votiva in occasione della Mostra della Civiltà del Lazio Primitivo presentata a Roma.

Tale felice iniziativa italiana metteva in moto una serie di avvenimenti che in una straordinaria continuità ha portato all’esposizione di oggi organizzata in occasione di 30 anni di scavi olandesi. È datata il 16 novembre del 1976 la lettera con cui Conrad Stibbe, vice direttore dell’Istituto Olandese a Roma, comunica al Presidente del Comitato per l’Archeologia Laziale, Massimo Pallottino, che "l’Istituto Olandese a Roma potrà disporre dei mezzi finanziari per poter fare delle ricerche autonome limitate nel quadro della salvaguardia delle antichità del Lazio, nel senso inteso dal Comitato per l’Archeologia Laziale".
La lettera prosegue con una proposta: "l’Istituto potrà eseguire un piccolo scavo della durata di un mese per poi  proseguire negli anni successivi", seguita dalla domanda se si "potrà indicare un obiettivo per i quali i lavori si sono resi urgenti".


Tale felice iniziativa italiana metteva in moto una serie di avvenimenti che in una straordinaria continuità ha portato all’esposizione di oggi organizzata in occasione di 30 anni di scavi olandesi. È datata il 16 novembre del 1976 la lettera con cui Conrad Stibbe, vice direttore dell’Istituto Olandese a Roma, comunica al Presidente del Comitato per l’Archeologia Laziale, Massimo Pallottino, che "l’Istituto Olandese a Roma potrà disporre dei mezzi finanziari per poter fare delle ricerche autonome limitate nel quadro della salvaguardia delle antichità del Lazio, nel senso inteso dal Comitato per l’Archeologia Laziale".
La lettera prosegue con una proposta: "l’Istituto potrà eseguire un piccolo scavo della durata di un mese per poi  proseguire negli anni successivi", seguita dalla domanda se si "potrà indicare un obiettivo per i quali i lavori si sono resi urgenti".
La risposta arrivò con qualche ritardo. È in data il 2 marzo del 1977. In pieno accordo, tutti i membri del Comitato per l’Archeologia Laziale decisero di ‘proporre all’Istituto Olandese l’avvio di una ricerca nella zona di Satricum, di cui è assolutamente superfluo sottolineare la straordinaria importanza archeologica, considerate le precedenti famose scoperte’. Il motivo: ‘mentre purtroppo oggi la Soprintendenza archeologia del Lazio, sopraffatta dalla necessità di tanti interventi di immediata urgenza, non potrebbe prevedere un intervento in quel sito famoso’.
Così nacque improvvisamente la vicenda archeologica olandese a Satricum con il consiglio e con il consenso delle autorità italiane competenti. È fu così che gli archeologici olandesi sotto la responsabilità di Conrad Stibbe e di Barbara Heldring iniziarono la ripresa dell’investigazione di questa località da troppo tempo dimenticata. L’inizio fu decisamente incoraggiante: il 13 ottobre 1977 venne alla luce un reperto sensazionale: un’iscrizione in latino arcaico, databile intorno al 500 a.C., l’ormai famoso Lapis Satricanus, recante il nome di un Publius Valerius che si può pensare di identificare con il famoso Publicola, uno dei fondatori della repubblica romana tramandatoci nelle fonti scritte.
Benché l’interpretazione esatta dell’iscrizione sia sempre oggetto di discussione, si tratta di un documento di un inestimabile valore storico in quanto costituisce una prova della veridicità delle tradizioni letterarie sui più antichi eventi di Roma.

Le campagne di scavo condotte in seguito hanno portato ad una generale revisione delle aree precedentemente indagate e ad un’estensione delle ricerche. In ormai trenta anni gli archeologi olandesi hanno ottenuto importantissimi risultati: fino al 1990 sotto l’egida dell’Istituto Olandese in stretta collaborazione con l’Università di Groningen guidata da Marianne Maaskant-Kleibrink e dal 1990 fino ad oggi, come progetto di ricerca dell’Università di Amsterdam, sotto la responsabilità di chi scrive.
Nei primi anni la ricerca si concentrò sul santuario della Mater Matuta, situata sull’acropoli della città. Prima di tutto si dovettero liberare le fondamenta dalla vegetazione che aveva ricoperto il terreno fin dall’Ottocento. Finalizzate alla dettagliata mappatura del complesso templare e allo studio dei resti architettonici già riportati alla luce, in vista di una loro pubblicazione definitiva, le attività portarono a degli spettacolari rinvenimenti, come il menzionato
Benché l’interpretazione esatta dell’iscrizione sia sempre oggetto di discussione, si tratta di un documento di un inestimabile valore storico in quanto costituisce una prova della veridicità delle tradizioni letterarie sui più antichi eventi di Roma.

Le campagne di scavo condotte in seguito hanno portato ad una generale revisione delle aree precedentemente indagate e ad un’estensione delle ricerche. In ormai trenta anni gli archeologi olandesi hanno ottenuto importantissimi risultati: fino al 1990 sotto l’egida dell’Istituto Olandese in stretta collaborazione con l’Università di Groningen guidata da Marianne Maaskant-Kleibrink e dal 1990 fino ad oggi, come progetto di ricerca dell’Università di Amsterdam, sotto la responsabilità di chi scrive.
Nei primi anni la ricerca si concentrò sul santuario della Mater Matuta, situata sull’acropoli della città. Prima di tutto si dovettero liberare le fondamenta dalla vegetazione che aveva ricoperto il terreno fin dall’Ottocento. Finalizzate alla dettagliata mappatura del complesso templare e allo studio dei resti architettonici già riportati alla luce, in vista di una loro pubblicazione definitiva, le attività portarono a degli spettacolari rinvenimenti, come il menzionato Lapis Satricanus, rendendo chiaro che le nuove ricerche non si sarebbero limitate ad una sola campagna di pulitura.


Dal 1979 la ricerca archeologica fu estesa agli strati sottostanti il tempio. Nel corso di quattro campagne di scavo si mettevano in evidenze tracce di 300 anni di attività umana, riconoscibili attraverso colorazioni della terra, buchi di pali, resti di focolari, piccoli canali di scolo e fosse: tracce tipiche di un insediamento di capanne. Il fatto che queste rimanenze si trovassero proprio sotto gli edifici templari di epoca posteriore, specialmente quelle ben conservate di una grande capanna all’interno dei muri del primo edificio cultuale, faceva sorgere l’ipotesi che queste siano indicative di attività cultuali in un’epoca anteriore alla costruzione dei templi e che la capanna era da considerare come la precorritrice dell’edificio templare in pietra; ipotesi, questa, che non è stata condivisa da tutti.
Contestualmente s’intuiva che anche i numerosi reperti scavati nel secolo precedente avrebbero potuto fornire informazioni interessanti per la storia edilizia del santuario. Fu deciso pertanto di estendere le indagini anche alle terrecotte, più di cinquemila pezzi, rinvenute negli anni 1896-1898 nei pressi del santuario ed immagazzinate nel Museo di Villa Giulia. Da qui nacque un vero e proprio progetto: ‘Satricum nella Villa Giulia’ in seguito al quale sono state prodotte tre importanti pubblicazioni, i cui contenuti riguardano lo studio delle antefisse e delle statue acroteriali del complesso templare e della Necropoli arcaica Nord-Ovest.

Sempre nel 1979 i lavori sull’acropoli furono estesi alla zona intorno al complesso templare , dove nell’area di fronte ai templi, indagata dall’Università di Groningen, e nell’area contigua al lato posteriore, indagata dall’Istituto Olandese di Roma, furono portate alla luce molte tracce e rimanenze che indicano una eccezionale continuità di occupazione per una durata di quasi otto secoli. Oltre a tracce dell’età del Ferro, fu messo in luce un miscuglio di fondamenta di tufo attribuibili a vari edifici del periodo arcaico, talvolta di carattere monumentale e differenti fra loro per orientamento, tipo di pietra adoperata, dimensioni e qualità.


Sempre nel 1979 i lavori sull’acropoli furono estesi alla zona intorno al complesso templare , dove nell’area di fronte ai templi, indagata dall’Università di Groningen, e nell’area contigua al lato posteriore, indagata dall’Istituto Olandese di Roma, furono portate alla luce molte tracce e rimanenze che indicano una eccezionale continuità di occupazione per una durata di quasi otto secoli. Oltre a tracce dell’età del Ferro, fu messo in luce un miscuglio di fondamenta di tufo attribuibili a vari edifici del periodo arcaico, talvolta di carattere monumentale e differenti fra loro per orientamento, tipo di pietra adoperata, dimensioni e qualità.
Nel 1980 le ricerche  sull’acropoli furono temporaneamente sospese in quanto un eccezionale rinvenimento imponeva altrove i lavori, nella parte sud-ovest dell’antica città. Fu scoperta una necropoli del V secolo a.C., allora unica nel suo genere nel Lazio, attribuita ai Volsci che secondo la tradizione antica occupavano Satricum in questo periodo.
Nel 1984 la ricerca nell’area bassa fu ampliata dopo la scoperta di una seria di lungi muri paralleli nella zona settentrionale attribuibili ad una rete viaria di carattere monumentale evidenziando tre fasi costruttive consecutive . La ricerca dell’area che comprendeva anche le rimanenze di una villa romana già scoperta nell’Ottocento, fu sospeso dopo un anno, ma fu ripresa nel 1996-1997 e in seguito dal 2000 fino ad oggi, sempre con risultati inaspettati.
Oltre le strade, vennero alla luce diverse tombe del V secolo a.C. e le rimanenze di alcuni edifici a fianco delle strade. Il rinvenimento della rete stradale e degli edifici nell’area bassa sono chiare indicazioni che gran parte della città di Satricum è ancora rintracciabile nonostante i lavori agricoli molto invasivi, confermando così la possibilità di ottenere un’idea sullo sviluppo urbanistico.
Ulteriori ricerche sull’acropoli eseguite dall’Università di Groningen negli anni Ottanta hanno portato alla luce altre tombe del V secolo nonchè un deposito enorme con centinaia di vasi e identificato come un deposito votivo.
La ricerca olandese ha fornito una quantità enorme dei dati che spesso combaciano con quelli dell’Ottocento costituendo un ampliamento dell’immagine esistente della città. L’esempio più chiaro riguarda il cosiddetto deposito votivo ellenistico, la Stipe Votiva III, scoperto nell’Ottocento. Nuove ricerche archeologiche del complesso eseguite nel 1982-1985 hanno rivelato il suo carattere originario cioè essere stata una cisterna per l’acqua piovana risalente all’età del Ferro che, 400 anni dopo, fu riutilizzata come un deposito per offerte votive. Fu durante il riscavo del deposito che si scoprì un vaso con dedica alla Mater Matuta, un’ulteriore conferma dei dati storici che riferiscono alla Mater Matuta il tempio nell’antica Satricum.
La ripresa degli scavi dell’antica Satricum e le nuove scoperte hanno favorito la valorizzazione del patrimonio archeologico anche a livello locale. Così nel 1981 la ‘Cooperativa Satricum’ di Borgo Montello prendeva l’iniziativa di organizzare insieme con gli archeologici olandesi una mostra sui vecchi e nuovi scavi con lo scopo di divulgare l’esistenza del sito nonchè di sviluppare un progetto di tutela dell’area archeologica. Questa mostra intitolata Satricum, una città latina, tenutasi in occasione del cinquantenario della fondazione della città di Latina, fu seguita nel 1985 da una seconda mostra ad Albano sul santuario di Mater Matuta, Area sacra di Satricum tra scavo e restituzione, e nello stesso anno da una mostra internazionale in Olanda (Leida) con il titolo Nieuw licht op een oude stad, Italiaanse en Nederlandse opgravingen  in Satricum.


Queste esposizioni hanno fornito un’immagine complessiva del sito ed hanno favorito altre iniziative. Dal 2003 esiste una fruttuosa collaborazione fra gli archeologi olandesi e il proprietario dei terreni ove furono scoperte le rimanenze della strada arcaica che portava al santuario della Mater Matuta e attraverso cospicui contributi finanziari annuali, l'azienda Casale del Giglio sostiene la ricerca archeologica a Satricum. Di valore internazionale è il progetto del parco archeologico, già ideato nel 1983 e autorizzato dal Comune di Latina nel 1984, che nel 2000 vedeva un primo inizio. Con significativi fondi europei fu realizzata una tettoia sopra le rimanenze templari, un primo passo verso la musealizzazione del sito.


Per concludere, la mostra archeologica su trenta anni di scavi olandesi, allestita presso la ex ferriera, presenta al pubblico in maniera aperta una sintesi dei risultati di scavi messi in luce mentre gli stessi e lo studio del materiale sono sempre in corso.

... da "Trenta anni di scavi olandesi" a cura di Marijke Gnade


Marijke Gnade
docente di archeologia pre romana ad
Amsterdam e direttore degli scavi a Satricum

Torna ai contenuti